Senegal, Guinea Conakry e Sierra Leone (giugno 2003) Da
molto tempo stavamo meditando di visitare la Sierra Leone, ma per motivi
di gravi disordini interni e di guerra vera e propria non ci siamo mai
avventurati. Solo da pochi mesi la guerra è finita e sotto il controllo,
forse anche eccessivo, dell’ONU, la calma è tornata in quel paese. Chiara,
la nostra nipotina, ha prestato servizio in un’ospedale aperto da Emergency,
proprio nei pressi di Freetown da gennaio di quest’anno fino all’inizio
di giugno; proprio grazie a lei che ci ha descritto entusiasticamente
il paese, abbiamo avuto notizie fresche
che ci hanno confortato al punto di decidere di recarci proprio
là partendo con il nostro vecchio e fedele Toyota HDJ61 da Dakar. Siamo
arrivati dall’Italia in Senegal domenica 8 giugno con, fra le altre cose,
una marmitta
nuova fiammante per il nostro toyotone. Trovato
un meccanico per la sostituzione, abbiamo aspettato il martedì mattina
per sbrigare
le faccende burocratiche come assicurare l’auto anche per i paesi
dell’area CEDEAO o ECOWAS e fare i visti per la Guinea Conakry, dato che
anche il lunedì successivo alla Pentecoste si festeggia e tutte le attività
sono bloccate. Non sarà possibile fare a Dakar il visto per la Sierra
Leone, non essendoci una Ambasciata in Loco. Sarà quindi necessario fare
i visti per quel paese a Conakry dove al contrario esiste una rappresentanza. L’assicurazione
per un mese per l’auto costa attualmente in Senegal 25.000 FR.CFA e i
visti per la Guinea ( 3 passaporti + il lasciapassare speciale per l’auto)
ci sono costati 140.000 F.CFA con l’opzione di due ingressi e due uscite.
La notte tra martedì 10 e mercoledì 11 la passiamo a Toubab Dialao e quel
giorno alle 13 partiamo per Tambacunda. La normale strada che passerebbe
per Mbour e Fatik è in fase di ricostruzione ed è praticamente impraticabile,
per cui siamo costretti ad aggirare il problema prendendo la strada per
Thies, Djourbel e Kaolack, dove si ritrova la strada normale che senza
particolari problemi ci porta a Tamba all’ora del tramonto. Tutto il percorso
ci mostra una brousse arida come non mai, con segni evidenti di carestia,
dovuta certamente al fatto che il 2002 non ha regalato una buona stagione
delle piogge e anche il 2003 non sembra portare in tempi brevi quelle
piogge abbondanti che dovrebbero normalizzare la situazione agricola e
dei piccoli allevamenti familiari basati sul pascolo. Persino
a Tamba ci dicono che è piovuto solo una volta e che la situazione è sempre
più critica. Passiamo la notte al Relais de Tamba, un nuovo albergo piuttosto
confortevole che costa solo un po’ di più dell’Hasta Kebè ( 35.000 F.CFA
con prima colazione in tre). Al mattino vorremmo partire un po’ presto
per cercare di arrivare oltre Koundara ( in Guinea) e dormire nella brousse.
Purtroppo abbiamo difficoltà a trovare dei nuovi tergicristalli e perdiamo
un po’ di tempo. Tutto risolto verso le 11
quando partiamo a gran velocità fino a Medina Gonasse dove acquistiamo
pane e frutta. Lì comincia la pista che diventa sempre più brutta man
mano che ci si avvicina alla frontiera. Si tratta di venti Km di fango
e pozzanghere immense solcati dagli pneumatici
di pesanti camion che trasportano merci dalla Guinea
al Senegal e viceversa. Per
noi nessuna difficoltà ma per i camion… lasciamo perdere.
In corrispondenza del cippo che indica la linea di confine fra
i due paesi improvvisamente la pista si fa liscia, in laterite ben tenuta,
percorribile anche a 50-60 Km all’ora. Evidentemente in Guinea danno molta
importanza alla manutenzione delle piste come ci era già capitato di constatare
in passato. Le
formalità di frontiera sono abbastanza veloci e piacevoli sia in un versante
che nell’altro, con qualche piccolo tentativo di estorsione da parte di
qualche doganiere, ma senza successo. Arriviamo a Koundara
nel tardo pomeriggio ci stupiamo nel constatare che non ci sono
più i controlli di routine all’ingresso dei centri abitati. Grazie a questo
risparmio di tempo riusciamo ad arrivare una trentina di Km oltre Koundara
prima del tramonto e a preparare il nostro campo e cenare a base di buste
di minestrone liofilizzato. Abbiamo appena avuto il tempo di lavare i
piatti, che è subito iniziata una pioggia fittissima e insistente che
ci ha costretti ad entrare molto presto in macchina per dormire riparati:
certo che quando si va in branda alle 8 di sera la notte diventa davvero
molto lunga! Ma dovremo abituarci a questi
orari dato che di preferenza le piogge iniziano sempre più o meno a quell’ora
e che l’unico nostro riparo è l’auto. Questo naturalmente comporta che
ci alziamo molto presto la mattina e riusciamo quindi a macinare molti
Km durante il giorno. La
pista per Labè è ancora in buono stato e riusciamo quindi a percorrerla
tutta il giorno seguente. La nostra fortuna ci porta a forare proprio
quando entriamo nella città dove neanche a farlo apposta c’è un vulcanizzatore
( una specie di gommista africano) che ci ripara subito la gomma ( ma
senza vulcanizzarla!) e ci consente quindi di proseguire fino a Dalaba
dove intendiamo alloggiare al già noto Tangamà e soprattutto cenarvi dato
che siamo davvero affamati. All’hotel ci dicono che il signore francese
che lo gestiva è rientrato in patria per motivi familiari. A parte qualche
carenza nell’efficienza del personale, l’ambiente non è cambiato
e si continua a stare bene quasi come si fosse a casa propria.
I prezzi sono modestissimi ( 35.000 fr. Guineani per una camera tripla
con bagno, pulita e spaziosa) e la cucina è molto buona. Durante la notte
piove copiosamente ma al mattino è già bello e partiamo entusiasti verso
Conakry. Sosta dentro ad una foresta dopo Mamou per un pic-nic
a base di carne in scatola, pomodori in insalata e frutta. Si riparte
dritti verso Conakry attraverso un percorso che ci riserva paesaggi mozzafiato.
Arriviamo nella sua periferia al tramonto in mezzo ad un traffico impazzito
ma abbastanza scorrevole. Solo quando fa buio, non senza difficoltà troviamo
un albergo decente, ma che ci pare abbastanza caro. Il giorno dopo è domenica,
cerchiamo una Messa, dato che fino a lunedì l’ambasciata della Sierra
Leone non riapre, e la troviamo nell’arcivescovado di Conakry, quando
si festeggiava l’insediamento ufficiale del nuovo arcivescovo. La cerimonia
è durata cinque ore e mezzo, ma noi non abbiamo resistito al caldo umido
soffocante di quel luogo e siamo scappati molto prima. Avevamo in progetto
di noleggiare una piroga per andare a visitare le isole di Loos approfittando
della sosta obbligata in città. Così abbiamo fatto e non abbiamo certo
avuto motivo di pentircene, dato che abbiamo scoperto davvero un’angolo
di paradiso, ancora molto selvaggio e non organizzato, con tante spiaggette
deserte orlate di alte palme da cocco e foresta fitta all’interno. Il
rovescio della medaglia è che non essendo organizzate, le isole non hanno
corrente elettrica, e il cibo si trova con difficoltà eccetto la frutta
che abbonda sugli alberi. Il clima è caldissimo e umidissimo: per questo
la vegetazione è così esuberante. Abbiamo pernottato a casa di un ragazzo
francese che si è insediato sull’isola di Rhum, che ci ha affittato una
stanza abitata da scorpioni e ci ha fatto preparare un po’ di riso scotto,
giusto per riempire il pancino… La doccia era un secchio d’acqua e il
bagno un buco in terra e una caraffa d’acqua. Va bè… non era il grand’hotel,
ma quell’isola vale il sacrificio di due giorni di scomodità e le foto
lo dimostrano! Nel
tardo pomeriggio di lunedì riprendiamo la piroga e torniamo sulla terra
ferma. Pernottiamo all’hotel Galaxy e la mattina dopo ci fiondiamo all’ambasciata
di Sierra Leone. I visti costano 91.000 per passaporto + 60.000 fr. Guineani
per l’auto e in due ore ci vengono consegnati senza problemi. A mezzo
giorno siamo pronti per dirigerci verso il confine. Facciamo una sosta
per il pranzo prima del confine e cominciamo con le frontiere. Nessun
problema per uscire dalla Guinea, qualche problema in più per entrare
in Sierra Leone, dove tutti i funzionari parlano un inglese strano, ancora
più incomprensibile per noi che non lo mastichiamo molto. Ancora più difficile
diventa spiegare i motivi del nostro viaggio, dato che alla frontiera
non sono abituati al turismo, e pensano sempre che si entra in quel paese
con secondi fini. I militari ci chiedono anche soldi, che noi rifiutiamo
di elargire e ad aggravare la situazione è un taxista guineano che ci
mette in guardia raccontandoci che l’ultima volta che era andato in S.L.
era stato rapinato tre volte. Ma il tempo passava e i controlli erano
sempre più lunghi e accurati. Abbiamo superato tutto questo quando ormai
stava per tramontare il sole e Freetown era dannatamente lontano. Ma noi
volevamo arrivarci per non dormire nella foresta dove avevamo paura di
essere aggrediti e rapinati. Ma alle 22 abbiamo dovuto desistere e ci
siamo infilati in una pista secondaria in mezzo alla vegetazione per dormire:
la pista era troppo lenta e rovinata, saremmo arrivati sfiniti a notte
fonda a Freetowon con il rischio di non trovare dove dormire. La notte
è stata tranquilla e qualcuno è passato di lì mentre dormivamo, ma erano
tutti gentilissimi, ci salutavano e ci chiedevano se avevamo bisogno di
qualcuno. Ben presto viaggiando in quel paese abbiamo capito che è tutto
molto tranquillo, che la
gente è cordiale e disponibile e che ha tanta voglia di normalità,
dopo 10 anni di guerra. A vigilare sulla sicurezza, se ce ne fosse bisogno,
c’è l’esercito dell’ONU che con molti check-point dislocati sul territorio,
dà una certa tranquillità. Lo stato delle strade è per il 90% piuttosto
disastrato, ma si sta ricostruendo velocemente e con criterio. Il paesaggio
è molto bello, ricoperto per lo più da foreste, con qualche zona coltivata
in modo estensivo. Le coste sono molto belle e ricche di spiagge da sogno
che non sempre sono facilmente raggiungibili. La penisola su cui è insediata
la Capitale è molto bella, collinosa e ricca di vegetazione e le sue spiagge
semideserte sono splendide oltre ogni immaginazione. Solo i locali le
sfruttano per le loro gite domenicali e gli operatori di Organizzazioni
Non Governative nel loro tempo libero, godendo di un privilegio davvero
speciale, dato che né in Europa né in America i Tour Operator propongono
questa destinazione, anche per mancanza di strutture adatte ad un certo
tipo di turismo esigente.
Il nostro primo impatto con la Sierra Leone è stata proprio la
capitale. Non è che noi volevamo visitarla, ma avevamo il dovere di visitare
l’ospedale di Emergency e ci siamo visti costretti ad attraversarla per
arrivare a Goodrich dove è stato edificato. Freetown ci è apparso come
tutte le grandi città africane, molto caotica, ma allo stesso tempo piacevole
a vedersi, soprattutto per la presenza delle case ex-coloniali inglesi,
che erano state destinate dai coloni al ceto medio Creo: vere e proprie
villette in stile inglese, spesso in legno, rattoppato un po’ ovunque,
a due o tre piani che stanno in piedi per miracolo. Sovente le case più
malconce vengono ricoperte da lamiera ondulata, per ripararle meglio anche
dalle piogge che in quel paese sono davvero molto abbondanti. Alle finestre
degli ultimi piani si affacciano spesso delle vecchiette che passano la
giornata a controllare ciò che avviene nei dintorni. Per noi questo tipo
di architettura in Africa è una novità, dato che le nostre destinazioni
sono per lo più ex colonie francesi, caratterizzate da una edilizia e
un’urbanistica molto diverse. Attraversata la città scompare anche l’asfalto
e dopo una decina di Km ci troviamo di fronte all’ospedale di Emergency
che si trova a Goodrich, proprio sulla pista rossa di laterite. Suoniamo
alla porta e ci accoglie un guardiano al quale spieghiamo che siamo gli
zii di Chiara. La sua gioia è incontenibile, a testimonianza del fatto
che la nipote ha lasciato buoni ricordi della sua presenza, e corre subito
a chiamare tutta l’equipe medica e paramedica. Iniziano le presentazioni
fra la gioia di tutti i presenti e tramite un’infermiera fisioterapista
italiana, veniamo accompagnati a visitare l’ospedale. L’impressione sull’operato
del personale è stata estremamente positiva: l’ospedale è molto ben organizzato
e attrezzato e presta il suo servizio a titolo completamente
gratuito a tutti coloro che si presentano alle sue porte con un
problema di salute grande o piccolo che sia. Facciamo amicizia con i medici
e gli infermieri, che vengono da varie parti d’Europa e prestano il loro
servizio per un minimo di sei mesi. Ci invitano a cena e noi accettiamo
di buon grado. Serata piacevolissima e cena davvero speciale a base di
ottimo pesce e frutta locale. La sera alloggiamo da Pierre, un meticcio
che gestisce un albergo fatto di casette in legno climatizzate, carine
anche se un po’ decadenti. L’hotel si affaccia su una spiaggia lunghissima,
orlata da palme e altre piante tropicali: qualcosa che si vede nelle cartoline
che si spediscono quando si vuole essere invidiati! Il
giorno dopo lo teniamo per il riposo che non può non essere a sfondo balneare.
Il tempo è bello, solo nel primo pomeriggio piove ma dopo un’ora o due
torna il sole. In linea di massima ogni giorno è così: anche la meteorologia
è abbastanza prevedibile. Nel tardo pomeriggio usciamo con Silvia (la
fisioterapista) e Sylvester (un infermiere locale) che ci portano a visitare
ancora Freetown e il mercato centrale. Chiudiamo la serata in un ristorantino
sulla spiaggia che anche Chiara era abituata a frequentare. Torniamo
da Pierre e passiamo la seconda notte nell’hotel. Pensiamo di ripartire
l’indomani per rientrare in Guinea, non dopo aver visitato le leggendarie
spiagge bianchissime di River N° two. Sono davvero un’incanto, considerando
poi che ci troviamo soli a calpestare questa sabbia bianca finissima che
scricchiola sotto i nostri piedi ci sentiamo davvero privilegiati. Anche
qui il contorno e fatto di altissime palme da cocco e altre piante fiorite
che nascondono qua e là le capanne col tetto di paglia di un villaggio
tipico africano. Lasciamo questo paradiso e ci dirigiamo verso il nord
della Sierra Leone attraverso una strada asfaltata abbastanza bella che
da Makeni (sosta
per la notte in un albergaccio) ci porta a Kabala. Da qui si prende la
pista per Musaia che diventa sempre più difficile e complicata che ci
porterà oltre il confine con la Guinea a Oure Kaba. Il percorso si snoda
in zona collinare abbastanza coltivata, che si alterna con brevi macchie
di foresta vicino alle quali si trovano i villaggi di capanne dei coltivatori.
Tutto intorno è di un verde irreale e il paesaggio ti trasmette un gran
senso di pace. Man mano che la pista si avvicina al confine diventa sempre
più accidentata ed è necessario procedere quasi a passo d’uomo. Solo nel
tardo pomeriggio ci accorgiamo di essere già in Guinea dove ci controllano
i passaporti. La nostra uscita dalla Sierra Leone non è quindi stata registrata
sui passaporti. Poco male, ormai siamo di là… Sbuchiamo sulla strada asfaltata
tra Faranah e Mamou, ci dirigiamo verso quest’ultima e ci arriviamo quasi
al tramonto: Dobbiamo ancora fare timbrare i passaporti per l’ingresso
in Guinea e lo facciamo quindi alla polizia della città. Ripartiamo subito
per Dalaba dove vogliamo passare la notte come sempre all’hotel Tangama.
Ci arriviamo alle 20 circa e prenotiamo subito una cenetta di lusso
al Sib Hotel dopo tanti pasti frugali più o meno appetitosi. Sarà
per la fame arretrata, sarà perché davvero lo Chef de cuisine è un asso
in cucina, indubbiamente questo pasto ce lo siamo goduto oltre che
meritato. Il mattino dopo partiamo un po’ presto perché vogliamo
percorrere buona parte della pista Labè-Koundara. Durante il percorso
ci becchiamo un bell’acquazzone, ma niente di troppo fastidioso: come
sempre dopo poco torna a splendere il sole. Man mano che ci si avvicina
a Koundara il clima si fa sempre più umido e torrido per effetto dell’altitudine
che non è più quella tipica del Fouta (1000-1200 metro SLM), ma ci difendiamo
col climatizzatore che anche dopo 16 anni di onorato servizio non da segni
di cedimento. Arriviamo intorno alle 18 in quello spiazzo ricavato dalla
foresta, nel quale avevamo sostato per la notte all’andata, a trenta Km
da Koundara e, con calma cominciamo a preparare la cena a base di “buste”
e insalata di pomodori. Il cielo è sereno ma fa molto caldo e non si muove
una foglia. Facciamo in tempo a mangiare e a lavare le stoviglie, ma ben
presto, come da copione, incomincia a piovere. Ci infiliamo subito nella
nostra “cuccetta” e ci convinciamo che non ci resta che dormire. Caldo
boia aggravato dal fatto che la zanzariera non lascia passare quel leggero
venticello che si è alzato nel frattempo. Pazienza… All’alba
ci alziamo, prepariamo la colazione a base di caffelatte e biscotti e
partiamo. Ormai il viaggio volge al termine, tanto vale galoppare a lunghe
tappe. Passiamo le frontiere tra Guinea e Senegal e arriviamo nel pomeriggio
a Tamba. Questa volta vogliamo tornare all’Hasta Kebè per lavarci un po’
e goderci qualche ora di relax nella piccola piscina. Incontriamo ancora
una volta con piacere il nostro amico Bassari che da molti anni fa la
manutenzione del giardino e della piscina: ormai ci aspetta tutti gli
anni, almeno una volta. Verso sera decidiamo di portare
la macchina a far lavare e ingrassare, perché dopo tanti Km di
piste rosse e fango anche gli organi meccanici sono monocromatici. Ormai
tutto è compiuto: l’indomani partiremo alla volta di Toubab Dialaw dove
ci aspetta ancora qualche giorno di vero relax. Il bilancio del viaggio
è stato molto positivo, perché abbiamo conosciuto nuove terre (per noi)
che meritavano di essere scoperte per la loro bellezza esuberante e perché
non si sa ancora per quanto tempo saranno sconosciute ai più. La macchina
non ha avuto problemi meccanici di nessun genere, solo una foratura e
qualche noia all’impianto elettrico. Si è rotto il relé delle frecce
e nell’ultimo tratto da Tamba a Dakar si è bruciato il fusibile dei tergicristalli,
quando le piogge erano solo un ricordo . Lo abbiamo sostituito ma dopo
poco si è di nuovo bruciato… probabilmente un filo è andato a massa, ma
ormai questo è un problema che passiamo all’elettrauto. Gli
ultimi giorni scorrono con vivo il ricordo del viaggio, mentre ci cuociamo
sulle spiagge di Toubab Dialaw: non è male, ma ci annoiamo un po’ e ci
sembra di perdere tempo: pensiamo che avremmo potuto visitare con più
calma la Sierra Leone, ma ormai quella terra è troppo lontana. La prossima
volta… chissà…
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