BURKINA FASO
febbraio 2005
E’ una
freddissima giornata d’inverno. La mattina la sveglia suona minacciosa
… ma mi rendo subito conto che non mi alzo per andare a lavorare, ma per
prepararmi a partire per la mia Africa! Questa volta partiamo io e Batman (
Michele ), vecchia conoscenza che ha passato un periodo con noi qualche anno
prima in Senegal.
6 febbraio: partenza da Bologna per Parigi e coincidenza per Ouagadougou. Mentre
volo penso con una certa apprensione alla mia auto che mi attende da ormai un
anno, ferma e polverosa nel cortile dell’hotel Ricardo… sarà
ancora in grado di portarmi nei luoghi dei miei sogni? Le batterie saranno ancora
buone per essere ricaricate o andranno sostituite? E la dogana, mi avrà
concesso i permessi per l’utilizzo dell’auto durante la mia vacanza?
Tutte queste domande si rincorrono nella mia mente, ogni tanto dormicchio, gioco
un po’ coi videogame che corredano ogni posto nell’aereo della Air
France, guardo un po’ di film, di telegiornale fino a quando sentiamo
annunciare che l’atterraggio a Ouaga è già incominciato.
L’aereo atterra e si ferma a due passi dall’edificio dell’aeroporto,
si apre il portellone e finalmente sentiamo già sulla soglia quel bel
venticello caldo che tanto ci mancava… il clima di Ouaga in febbraio è
molto secco, sovente soffiano i venti dell’Harmattan, che rendono l’aria
un po’ offuscata e stranamente rossastra.
Arriviamo con un taxi all’hotel e vedo subito la mia auto parcheggiata
in un angolo del giardino, con le ruote un po’ sgonfie e tanta polvere
rossa sulla carrozzeria. Dentro tante ragnatele e ancora polvere… Potrà
mai ripartire?
Saluto Ricardo e il personale e comincio a chiedere : l’auto è
a posto? E la Dogana? E le batterie? Ben presto mi accorgo che ancora non erano
stati fatti i documenti. Ma io avevo già voglia di partire per vedere
nuovi angoli di Africa.
Ci viene assegnata una cameretta per due, ci buttiamo in branda e dormiamo di
gusto.
7 febbraio : Al mattino Ricardo mi dice che in giornata arrivano i documenti
della macchina e incaricherà qualcuno di ripristinare le batterie. Alla
sera nulla di tutto questo era stato fatto.
8 febbraio: Ci svegliamo, decidiamo di occuparci delle batterie. Ben presto
tutto è risolto, proviamo ad avviare il Toyota: al primo colpo emette
il ruggito di sempre. Rischiamo ed usciamo per andare a Ouaga per far lavare
la macchina, ingrassarla e cambiargli l’olio del motore. In poco meno
di un’ora torna quella di sempre. Ma ci mancano sempre i documenti. Torniamo
all’albergo e diciamo a Ricardo che vogliamo partire e che solleciti i
documenti della Dogana. Lui dice che sta facendo tutto il possibile, ma noi
sappiamo che non è così e gli facciamo capire che in questo modo
ci stiamo mangiando la vacanza. Finalmente mercoledì, 8 febbraio, alle
5 del pomeriggio abbiamo i tanto sospirati documenti e partiamo subito a costo
di arrivare a notte fonda per Dori, nel nord del Paese perché il giorno
dopo dobbiamo visitare a Gorom-Gorom il mercato che si svolge ogni giovedì,
uno dei più caratteristici e importanti di tutto il Sahel. Per un centinaio
di Km l’asfalto e buono, poi inizia la pista che ben presto si rivela
pessima, con una tole-ondulée pesantissima. Questo ci provoca dopo un
altro centinaio di Km la rottura di uno pneumatico in una zona praticamente
inabitata e completamente buia. Ci mettiamo di buona lena, al chiarore del neon
in dotazione, a sostituire la gomma, ma ci accorgiamo che il cric idraulico
si è un po’ scaricato e non alza sufficientemente il mezzo per
poter rimontare la gomma nuova. Proviamo in ogni modo ma riusciamo a montare
la ruota solo dopo aver scavato sotto di essa. Alla fine siamo stremati, ma
ci mancano 50 km a Dori e vogliamo arrivarci per non essere costretti a dormire
in brousse sporchi e sudati, senza poter fare una doccia. Arriviamo a Dori all’una
di notte e troviamo una sistemazione un po’ spartana ma con acqua corrente
(solo bollente!!!) al Relais du Sahel. Crolliamo su di un letto poco pulito....
ma chi se ne frega
9 febbraio: partiamo dopo aver sistemato dal meccanico alcune piccole cose,
verso Gorom Gorom, che dista da lì una sessantina di Km. La pista non
è male e ci arriviamo in poco più di un’ora. Il villaggio
è tipico del Sahel, un po’ deprimente, tanto da chiedersi come
possa un’essere umano vivere in un ambiente così inospitale…
solo sabbia e acacie spinose. Le case sono fatte con fango e hanno una forma
squadrata. Ancora non si capisce che lì si svolge un’importante
mercato, ma andando avanti un po’ ci si immette in una piazza dove si
vedono a perdita d’occhio tutte le mercanzie d’Africa. L’insieme
delle persone che brulicano in quell’area è un caleidoscopio di
popoli ed etnie diverse, provenienti da qualsiasi parte dell’Africa occidentale.
Soprattutto si notano Peul del Burkina e del Mali, Mauri, Tuareg del Niger e
del Mali e una moltitudine di etnie del sud del Burkina e Costa D’Avorio.
È difficile poter descrivere i colori e gli odori che si vivono in quella
situazione… sicuramente è il mercato africano più vero e
pittoresco che mi sia mai capitato di vedere in tanti anni di viaggi in questo
continente. Un poco più a nord del mercato delle merci c’è
un’area adibita al mercato del bestiame, la dove si vendono cammelli,
buoi e vacche, capre, montoni e asini. I prezzi sono molto variabili e dipendono
soprattutto dalla provenienza dei capi. I mercanti del Mali hanno gli animali
migliori e costano di più, quelli del Burkina costano un po’ meno,
quelli del Niger ancora meno, perché sono un po’ denutriti e hanno
bisogno di molte cure per poter diventare dei buoni capi. Le discussioni per
la compravendita di un’animale possono durare anche diverse ore e talora
possono essere molto animate. A visitare il mercato insieme a noi c’era
Moussa, un ragazzo molto simpatico e disponibile, che ci ha dato tutte le spiegazioni
del caso. Ci siamo lasciati intorno alle 16 dopo aver bevuto insieme l’immancabile
te alla menta, suddiviso come da rituale nei tre momenti: il primo amaro come
la morte, il secondo buono come l’amicizia, il terzo dolce come l’amore.
Ritorniamo a Dori dove ci fermiamo da Padre Gabriele Pirrazzo, missionario Padre
bianco in quel luogo dimenticato da Dio da oltre vent’anni in Burkina.
Ci ospita a cena e ci offre una stanza per la notte.
10 febbraio: dopo colazione ci siamo lasciati con la speranza di rivederci presto
dato che in luglio dovrebbe tornare in Italia per una breve pausa. Incontro
davvero molto interessante, che ci ha arricchito non poco e dato molti motivi
di riflessione.
Prendiamo la pista per Aribinda, che si snoda in un ambiente saheliano fatto
di dolci declivi, bacini di raccolta dell’acqua per il bestiame e per
l’uomo, ai bordi dei quali si svolge una vita pastorale di rara bellezza.
Il vento è vigoroso e rende il tutto più evanescente, sollevando
a mezz’aria la sabbia. Il tratto fino a Djibo è molto veloce e
ricco di spunti per prendere ottime fotografie. Da Djibo a Kongussi e da lì
fino a Ouaga la pista è orribile, tutta tole ondulée e ci porta,
massacrati fin quasi in città. Abbiamo mangiato poco in questi tre giorni
e la sera ci rifocilliamo all’ottimo ristorante Monopole Plus.
Notte da Ricardo.
11 febbraio. Ci alziamo con calma e prepariamo poche cose per partire alla volta
del Parco Nazionale d’Arli. Circa 400 Km ci separano da Pama dove parte
la pista che si addentra nella riserva. Ci arriviamo un po’ tardi, circa
alle 16 e prendiamo subito la pista in laterite. Sappiamo che difficilmente
vedremo animali prima dell’indomani. Lungo il tragitto, abbastanza buono
e scorrevole, a Sengou sorge un campement, ci pare di non avere alternativa
e decidiamo di restare lì. Discutiamo moltissimo per il prezzo che ci
pare esorbitante, soprattutto se rapportato alla qualità della sistemazione,
che era naturalmente semplice. Alla fine ci mettiamo d’accordo per 50.000
CFA per mangiare e dormire. Alla sera, per cena, ci servono una grande bistecca
di antilope-cavallo, una vera leccornia, anche se noi siamo contrari alla caccia,
la gustiamo insieme ad un ottimo contorno di patatine. Dopo cena subito a letto,
a goderci quelle due orette di elettricità ( e di clima) elargite dal
generatore a gasolio.
12 febbraio. Ci svegliamo al mattino abbastanza presto e ci rendiamo subito
conto che c’è vento di Harmattan. La visibilità è
scarsa. Ne approfittiamo per fare colazione e trasferirci subito ad Arli, che
dista da lì una cinquantina di km, dove è indispensabile pagare
un ingresso al parco (5000 CFA a persona) e prendere una guida (4000 CFA al
giorno) se ci si vuole addentrare per osservare gli animali. Prima di mezzogiorno
siamo ad Arli e vogliamo partire subito per la visita. Ci frenano subito dicendo
che non sarà facile col caldo di mezzogiorno vedere gli animali: anche
loro soffrono il caldo! Ci diamo quindi appuntamento alle 15. Intanto noi prendiamo
una camera al Campement d’Arli, una struttura ben costruita, ma come sempre,
mal gestita al punto da sembrare quasi abbandonata. Pochi si fermano lì
per prendere una camera, tanto meno per mangiare… noi invece sì.
Costa poco (15.000 la camera con servizi e climatizzatore) e ci lasciamo convincere.
Ben presto, ma comunque troppo tardi, ci accorgiamo che il cibo è scadente
e l’igiene assolutamente precaria. Mangiamo poco e malvolentieri, poi
facciamo una pennichella e alle 15 ci troviamo con la guida, che si presenta
armata di fucile e pantaloni mimetici. I primi avvistamenti riguardano alcuni
Cobe de Buffon e alcuni facoceri, e poi in continuazione sempre quegli animali,
fino a quando arriviamo ad un lago dove possiamo osservare un gruppo di ippopotami.
Al ritorno vediamo anche un gruppo di antilopi-cavallo. Nel complesso siamo
un po’ delusi perché la varietà è scarsa e gli animali
non si lasciano avvicinare così facilmente come accade invece nei parchi
dell’Africa orientale o in quelli del Senegal, visitati di recente. Arriviamo
alla conclusione che in Burkina è molto più diffusa la caccia
rispetto alla semplice osservazione. Comunque di elefanti e leoni nemmeno l’ombra.
Ritentiamo domani.
13 febbraio. Sveglia alle cinque, dopo una notte da incubo, per aver mangiato
chissà cosa in quella specie di mensa fatiscente. Alle sei abbiamo l’appuntamento
con la guida che ci garantisce che, con un po’ di fortuna possiamo vedere
elefanti, leoni e forse anche i leopardi. Un elefante ci concede, ancora prima
di partire, un’apparizione proprio davanti al lodge, dove c’è
un punto d’acqua, utile agli animali per abbeverarsi al mattino. Partiamo
carichissimi, la mattina è fresca, quindi gli animali dovrebbero essere
tutti a spasso. Imbocchiamo una pista che ad un certo punto costeggia il fiume
Arli e vediamo subito un grosso ippopotamo che avanza verso di noi… c’è
ancora poca luce ma riusciamo a fare qualche foto. La pista prosegue sempre
più devastata dagli elefanti, che ci rendiamo conto essere una presenza
davvero cospicua, ma senza vederne direttamente. Ogni tanto qualche antilope
lontana ma niente di nuovo. Ad un tratto una nuvola di polvere attrae la nostra
attenzione: c’erano dei bestioni lontani, ma ben presto capiamo che sono
dei bufali, belli, grandissimi, ma non elefanti… La guida decide di tornare
e cambiare zona. Un’altra ora per tornare e prendiamo una nuova pista
dalla parte opposta che si snoda in una savana gialla in mezzo all’erba
alta come il nostro mezzo… ma come faremo a vedere qualcosa. Invece cominciamo
a vedere ancora tante antilopi, facoceri e alla fine anche una famiglia di 4
o 5 elefanti che però sono lontani. Mi voglio avvicinare anche se la
guida non è d’accordo. Arrivo a circa 300 metri e mi intima di
fermarmi. Dice che ci sono dei piccoli e possono attaccarci all’improvviso
per difenderli. Mi accontento di fare qualche foto da lì, poi ritorniamo
abbastanza soddisfatti, ma senza aver visto i grandi carnivori. La guida ci
chiede di ritentare nel pomeriggio, ma noi ci diciamo soddisfatti e vogliamo
partire per Ouaga. Prendiamo la pista Est anche se sappiamo essere più
lunga di quella dell’andata, ma stiamo finendo il gasolio e a 50 km c’è
un villaggio con una piccola stazione di servizio. Da lì ci sarebbe una
scorciatoia che programmiamo di prendere e che ci farebbe risparmiare un bel
po’ di strada. Chiediamo per sicurezza al villaggio: non se ne parla neanche.
I banditi hanno rotto i ponti e alcuni tratti di pista per assaltare chiunque
voglia avventurarsi da quelle parti e derubarli di tutto. Per fortuna che abbiamo
chiesto! Facciamo la pista lunga e arriviamo solo dopo 9 ore , quando è
già buio da un bel po’, a Ouagadougou, stravolti più che
mai. Cena veloce e… a letto subito ad oltranza, senza sveglia.
14 Febbraio. Riposo assoluto, piscina, incontri interessanti, con un missionario
spagnolo prima e un altro italiano poi.
15 febbraio. Partiamo per visitare il sud-ovest. Destinazione: Bobo-Diulasso.
La strada è asfaltata e buona fino a Boromo, poi iniziano le buche, i
lavori per chiuderle, ma soprattutto tante tante buche nell’asfalto che
rallentano notevolmente la velocità di avanzamento. Poco dopo le 16 arriviamo,
stanchi a Bobo, 44°C umidi e ci precipitiamo subito al camping-albergo “le
Paschà” che conosciamo bene per esserci stati in altre due occasioni
di visita in questa città. Sistemazione semplice ma pulita, cucina veramente
eccellente, prezzi bassi (7000 CFA per la camera doppia ventilata). Prima di
sera andiamo al mercato centrale, molto animato, e riusciamo a tornare già
con due maschere acquistate in loco. Tra molta merce fatta per il turista, anche
molto bene, si può trovare qualche pezzo a nostro avviso davvero interessante,
con ottima patina d’uso e prezzi abbordabili.
Cena ottima, a letto.
16 Febbraio. Ci alziamo di buon ora per raggiungere la regione di Banfora. L’intenzione
è di visitare i Pic de Sindou, formazioni rocciose con forme molto bizzarre
con punte aguzze, archi ecc. La giornata è estremamente calda e quando
arriviamo sono circa le 11 del mattino. Durante il percorso della pista accidentata,
incontriamo paesaggi rurali molto verdi e ben coltivati, bambini allegri che
fanno il bagno nei bacini di raccolta dell’acqua, animali al pascolo…
Dopo una cinquantina di Km da Banfora cominciano ad intravedersi i picchi rocciosi
che sovrastano la grande pianura coltivata. In quelle terre vivono i Senufo,
etnia molto legata alle proprie tradizioni, di religione animista, che vivono
ancora nei villaggi fatti di capanne di fango rosso con tetto di paglia. Un
ragazzo Senufo ci accoglie e ci propone una visita guidata ai picchi. Ci pare
subito simpatico e accettiamo volentieri. Camminiamo sotto un sole cocente su
un sentierino che attraversa buona parte della catena montuosa. Mentre avanziamo
siamo circondati da una miriade di rocce aguzze stranissime ed altamente spettacolari
e il nostro interlocutore ci racconta storie fantastiche di magie e guarigioni
prodigiose con la erbe… Ne rimaniamo affascinati e ci chiediamo se sia
possibile tutto ciò, senza venirne fuori. Rimane il mistero ed è
bello che sia così.
Alla fine facciamo anche una visita al villaggio, ma comincia a fare tardi e
ripartiamo verso Banfora. Se arriviamo al lago Tengrela prima che cali il sole
proviamo a fare una gita in Piroga per vedere molto da vicino gli ippopotami.
Sulla pista abbiamo problemi con il portapacchi del Toyota e ci dobbiamo fermare
più volte per sistemarlo. Arriviamo a Tengrela proprio al tramonto. Lì
incontriamo una vecchia conoscenza, una guida locale conosciuta nel 2001, che
ci accoglie con calore inaspettato, come se fossimo dei fratelli. Gli chiediamo
se è possibile partire con la piroga per vedere gli ippopotami…
Senza neanche risponderci sale sulla macchina e ci dice: “ andiamo, andiamo
subito”.
In cinque minuti ci troviamo già sulla piroga spinta vigorosamente con
il tipico , lungo bastone. Il lago è calmo, fa molto caldo e l’umidità
è pregnante, il sole poco sopra l’orizzonte è grande ed
infuocato… L’atmosfera è magica. Di lì a poco ci troviamo
già di fronte ad una colonia di ippopotami enormi e molto tranquilli,
immersi con il loro possente corpo nella tiepida acqua del lago. Ci avviciniamo
notevolmente, forse una decina di metri da loro e ci fermiamo ad osservarli
ed a fotografarli: un esperienza entusiasmante, qualcuno direbbe anche molto
rischiosa, ma il nostro amico ci assicura che non c’è pericolo.
Torniamo prima che faccia buio pesto a riva e ci fermiamo a bere una coca cola
fresca nel relais del fratello della guida. Saluti di rito e via verso Bobo.
Il clima nel frattempo si è fatto pesante. Arriviamo tardi e stanchi,
fa molto caldo, speriamo di dormire….
17 Febbraio. Teniamo questa giornata a disposizione per visitare Bobo e fare
acquisti, nell’intento di riposarci. Ma non è certo facile, soprattutto
a causa della gran moltitudine di persone che ti vogliono guidare di qui e di
là a vedere le bellezze della città e soprattutto a comprare là
dove vogliono loro, qualsiasi tipo di artigianato locale. Vogliamo tornare anche
al mercato centrale, dove avevamo visto delle belle maschere, secondo noi alcune
delle quali autentiche, con ottima patina d’uso. Perdiamo molto tempo
lì, e le trattative sono estenuanti. Alla sera ci ritroviamo con una
decina di maschere da piazzare nei bagagli e siamo più stanchi che se
avessimo fatto un’escursione…
18 febbraio. Abbiamo dormito poco e sudato molto. La notte si è riversato
sulla regione un acquazzone tropicale abbondantissimo ed inusuale per la stagione,
ma che ha rinfrescato un po’ l’aria. Ci alziamo con calma, sistemiamo
le nostre cose e partiamo attraverso un bella pista verso Gaoua, grande villaggio
al centro dell’omonima regione abitata in prevalenza dai Lobi, altra etnia
molto interessante, che vive in villaggi molto singolari, dove ogni casa, in
fango, assomiglia ad un piccolo castello o fortezza, e dista dalle altre almeno
un centinaio di metri. Andiamo a visitare uno di questi villaggi e grazie ad
uno di loro, riusciamo ad entrare nella casa di una famiglia Lobi, muniti di
frutti di cola per il patriarca e un sacchetto di caramelle per i bambini, e
a scambiare qualche chiacchiera. Non è normalmente così facile,
perché questa etnia è molto gelosa delle proprie tradizioni e
della propria privacy e non ama mostrarsi agli stranieri. Evidentemente gli
siamo simpatici e riusciamo perfino a fare una certa quantità di foto.
Verso il tramonto torniamo verso Gaoua attraverso una discreta pista rossa.
Il nostro portapacchi non ce la fa più e chiediamo ad un fabbro di farci
sostanziali modifiche per alleggerirne la struttura. Lavora fino a quando fa
buio, con la luce del mio neon e alla fine sistema il tutto. Siamo soddisfatti
e, ancora una volta molto stanchi. Andiamo a dormire in un piccolo relais con
camere semplici ma abbastanza pulite, bagni in comune, ma non preparano cibo.
Intanto ci facciamo una doccia, poi usciamo a cercare qualcosa da mangiare.
Troviamo un ristorante, mal servito e un po’ caro, ma mettiamo comunque
qualcosa sotto i denti. Torniamo alla nostra camera e cerchiamo di dormire:
la stanza è piccola e fa talmente caldo che sembra di essere in un loculo.
19 Febbraio. Al mattino siamo degli zombi. Non facciamo in tempo ad uscire dall’alberghetto
che troviamo all’uscita il ragazzo che ci ha guidato e qualche commerciante
di artigianato… vorremmo morire! Avevamo in programma di visitare qualche
altro villaggio della zona ma in quel momento abbiamo pensato che era meglio
partire subito per Ouagadougou. E così facciamo un bel pieno alla macchina
e partiamo.
La strada è bella e ben asfaltata fino a Pa dove si immette sulla principale
Bobo-Ouaga e fino a Boromo è tutta buche e camion lentissimi, poi si
va un po’ meglio fino a Ouagadougou. Torniamo da Ricardo dove veniamo
puntualmente intervistati sui giorni trascorsi fuori Ouaga. Cena al Monopole
Plus e subito a letto.
20 Febbraio. Dovrebbe essere una giornata di relax. Ci alziamo tardi e andiamo
subito ai bordi della piscina per la colazione. Fino a quel giorno eravamo soli,
ora l’albergo si è popolato di nuove presenze arrivate nottetempo
dall’Europa. Anche i lettini sono tutti occupati. Questi nuovi turisti
ci mettono a disagio. Per di più è domenica e molti abitanti della
città, quelli più benestanti, vengono alla piscina di Ricardo
per passare il pomeriggio con famigliari e amici. Non ci piace e ce ne andiamo
a fare un giro in città. Ormai la vera vacanza è finita e non
facciamo che bighellonare in attesa di partire per l’Europa.
21 Febbraio. È il giorno della partenza. Mettiamo a posto le nostre cose,
i bagagli, la macchina e aspettiamo in piscina fino al momento del trasferimento
all’aeroporto. La nostra auto resterà ancora a Ouagadougou per
almeno un anno. Il nostro cuore è gonfio di tristezza, sapendo che ci
lasciamo alle spalle esperienze indimenticabili che vorremmo vivere per sempre
e che in Italia troveremo ancora un clima rigido e un bel po’ di neve.
Dal finestrino dell’aereo vediamo dall’alto, ormai lontane, le lucine
di Ouaga affievolirsi sempre più… Arrivederci Africa, arrivederci…